Marzo è il mese dedicato alla consapevolezza sull’endometriosi, una patologia che colpisce ad oggi circa 3 milioni di donne e che si caratterizza per la presenza di endometrio.

Marzo è il mese dedicato alla consapevolezza sull’endometriosi, una patologia che colpisce ad oggi circa 3 milioni di donne e che si caratterizza per la presenza di endometrio (la mucosa che riveste normalmente la cavità uterina) all’esterno dell’utero (endometriosi esterna) o dalla presenza e la crescita di cellule endometriali nella parete dell’utero, che può ispessirsi, allargarsi ed essere soggetto a forti emorragie (endometriosi interna o adenomiosi).
In Italia colpisce circa il 10-15% delle donne in età riproduttiva con un picco intorno ai 25-30 anni. La diagnosi arriva spesso tardivamente, dopo un percorso lungo e gravato da importanti ripercussioni psicologiche per le donne affette.
Si tratta infatti di una malattia invalidante che si manifesta con sintomi quali:

  • Dolore pelvico, particolarmente in fase peri-mestruale
  • Dismenorrea (mestruazioni dolorose)
  • Dispareunia (dolore durante i rapporti sessuali)
  • Irregolarità dei cicli mestruali con perdite ematiche anomale dai genitali
  • Dolore alla defecazione

L’endometriosi è inoltre causa di sub-fertilità o infertilità nel 30-40% dei casi.
La diagnosi precoce è essenziale per ridurre i rischi di infertilità e contenere le conseguenze psicologiche, sociali e relazionali legate alle manifestazioni dell’endometriosi. L’endometriosi influisce infatti negativamente sia sulla sfera sociale che su quella lavorativa poiché il dolore può essere così intenso da ridurre sia qualitativamente che quantitativamente le prestazioni lavorative e sociali. Ansia, depressione e disturbi alimentari hanno una elevata incidenza nelle donne affette da endometriosi, non soltanto come conseguenza del dolore cronico; i risultati di alcuni studi suggeriscono che esiste un legame biologico tra l’endometriosi e i disturbi psichiatrici e che questo legame potrebbe essere dovuto in parte a fattori genetici.

Le terapie convenzionali includono:

  • Analgesici (di solito i FANS)
  • Contraccettivi ormonali e progestinici
  • Trattamento chirurgico conservativo dell’endometriosi (l’escissione o l’ablazione degli impianti endometriosici e la rimozione delle aderenze pelviche durante la laparoscopia).

Le terapie ormonali possono indurre la regressione dell’adenomiosi e migliorare i sintomi; tuttavia, questi farmaci sono efficaci solo in circa due terzi dei pazienti, hanno un’efficacia limitata a lungo termine, e possono occasionalmente portare a effetti collaterali indesiderati.
Pertanto, a causa della persistenza del dolore, una parte significativa delle donne si sottopone ad un intervento chirurgico, che è ovviamente in grado di eliminare le lesioni endometriosiche visibili, ma non di curare la malattia. Nonostante il miglioramento clinico a breve termine, la recidiva postoperatoria è comune, soprattutto se non è stata iniziata la terapia ormonale.
Pertanto, la chiara richiesta clinica di opzioni più efficaci e durature per il sollievo sintomatico, insieme ad un crescente riconoscimento della partecipazione del sistema nervoso centrale nella genesi e/o nella modulazione del dolore cronico associato all’endometriosi, ha suscitato un crescente interesse. in nuove modalità terapeutiche. Tra questi trattamenti, proprio la cannabis e cannabinoidi potrebbero avere potenziali effetti benefici, grazie agli effetti analgesici, antinfiammatori e neuroprotettivi.

Negli ultimi anni è emerso come il Sistema Endocannabinoide (ECS) rappresenti un fattore importante nello sviluppo, nel mantenimento e nei meccanismi determinanti il dolore nell’endometriosi

I suoi recettori (CB1 e Cb2) risultano infatti ampiamente espressi a livello dell’apparato riproduttivo femminile, in particolare a livello di ovaie, tube di Falloppio, nonché dell’endometrio.
È ormai noto come i fitocannabinoidi rappresentino una valida opzione terapeutica per il trattamento di diverse forme di dolore cronico, tramite la loro interazione con diversi tipi di recettori, non soltanto CB1 e CB2, ma anche vanilloidi, oppioiodi, serotoninergici etc.
Inoltre, studi preclinici hanno dimostrato che il CBD può interferire con i livelli di citochine potenzialmente coinvolte nella fisiopatologia del dolore associato all’endometriosi. È stato infatti dimostrato che il CBD diminuisce la secrezione di citochine pro-infiammatorie, tra cui IL-6 e TNF-α, e aumenta i livelli di citochine anti infiammatorie, tra cui IL-10.
Oltre a questi ampi potenziali meccanismi d’azione legati al dolore, esiste oramai una vasta evidenza sugli effetti ansiolitici, antidepressivi, neuroprotettivi, stabilizzanti dell’umore e modulatori del sonno dei cannabinoidi, che potrebbero essere pertanto utili nel trattamento dei sintomi non dolorosi concomitanti precedentemente descritti.
Una indagine nazionale australiana condotta su una popolazione di donne affette da endometriosi confermata chirurgicamente, ha segnalato significativi effetti positivi derivanti dall’uso della cannabis come forma di automedicazione, sia nel sollievo dal dolore che nella riduzione dell’uso di altri farmaci. Simili conclusioni sono state riportate in altri studi longitudinali.
Queste nuove rivelazioni suggeriscono che il sistema endocannabinoide possa rappresentare un target farmacologico per il trattamento dell’endometriosi, compresa la gestione del dolore. Sono tuttavia necessari ulteriori studi per valutare l’efficacia, la sicurezza e la tollerabilità di preparati a base di cannabis nel trattamento del dolore associato ad endometriosi.